Molti italiani si trovano in una situazione simile: ora la legge li tutela conto l’aggressione del capo. Ecco ciò che devi sapere.
Purtroppo ad oggi si sentono sempre più casi di maltrattamento sul posto di lavoro. Nella maggior parte dei casi ci si trova in un ambiente lavorativo tossico, incapace di comprendere le necessità del dipendente e di andare incontro alle sue richieste nei limiti.
La responsabilità quasi sempre è del capo o del titolare di un’azienda. I casi di maltrattamenti da parte dei superiori spesso vengono portati nelle aule del Tribunale, ma non tutti i comportamenti intimidatori o vessatori possono essere definiti punibili dalla legge. La giurisprudenza parla molto chiaro.
Per configurare il reato di maltrattamenti, il rapporto tra il capo e il dipendente deve acquisire una connotazione “para-familiare”, ovvero deve avvenire in una realtà lavorativa molto piccola, in cui il titolare è a stretto contatto con i dipendenti. In questi casi, non sempre però tutto può essere definito reato.
Andiamo a capire meglio quando una violenza sul posto di lavoro diventa un vero e proprio reato e fare chiarezza sulle situazioni in cui si può ricorrere ad un avvocato nel momento in cui si è costretti a subire una condotta mortificante e denigratoria.
L’articolo 572 del Codice penale definisce che il mobbing si caratterizza di condotte particolarmente invasive e personali, simili a quelle di una relazione familiare. Questo comporta così una costante relazione intima e personale, diventando in questo modo una vera e propria convivenza psicologica oltre ad essere un rapporto lavorativo.
Ad esempio, in una relazione tra un artigiano e il suo apprendista, possono nascere dinamiche simili a quelle di una famiglia, tanto che il subalterno si affida completamente all’autorità del suo superiore. Un altro caso molto diffuso è una situazione in cui l’ufficio del capo è adiacente all’ambiente di lavoro dei dipendenti, portandoli ad essere in costante contatto.
Nelle realtà lavorative molto più grandi invece il mobbing diventa un illecito civile e non può essere considerato un reato per maltrattamenti. Per dimostrare l’esistenza di un episodio di mobbing, e quindi ottenere un risarcimento del danno, bisogna portare un insieme di prove di varie condotte che hanno l’obiettivo di isolare, mortificare ed emarginare il lavoratore.
La Cassazione si è occupata di chiarire questi concetti, specificando che non basta avere un semplice rapporto di subordinazione per poter configurare il reato di maltrattamenti sul posto di lavoro. Serve la presenza di un rapporto caratterizzato da un’assidua comunanza di vita e un totale affidamento del subordinato all’autorità del superiore, il quale esercita il proprio ruolo il quale deve esercitare il proprio ruolo con un livello di discrezionalità e informalità tipico delle relazioni familiari.